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Dall’era
glaciale, ecco il bue muschiato |
Il moskus
(bue muschiato) non è né un fiore né un troll, ma un animale.
Un
enorme erbivoro, tipico del mondo artico, che a prima vista assomiglia
a un
bisonte, ma in realtà è stretto parente di pecore, capre e mufloni.
Mi trovo in Norvegia, circa trecentocinquanta chilometri a nord
di Oslo, sulle
(riga 5) pendici di un gruppo montuoso.
“Domani ti porto a vedere il moskus”, promette Kjell, nell’ingresso
dell’hotel.
Io lo guardo come si guarda chi promette la luna e faccio spallucce.
Ma lui
insiste, serio: “Dico davvero: se hai fiato lo vedrai di sicuro,
parola di Kjell.
Però ci sarà da camminare un po’.” Quando Kjell – guardaparco
norvegese e
(riga 10) montanaro tutto d’un pezzo – dà la sua parola, vuol
dire che manterrà la
promessa. “Ci vediamo domani: partenza alle sette in punto”.
Il moskus norvegese in italiano si chiama bue muschiato, perché
il suo
fittissimo pelo odora di muschio. Secoli fa era diffuso in tutto
il Nord del
mondo, ma poi la caccia e il riscaldamento del clima l’hanno relegato
in
(riga 15) pochissime regioni, tra le più fredde e isolate del
Pianeta.
Se il bue muschiato vive così bene al freddo, lo deve al suo lungo
pelo scuro,
che è il più efficace termo-isolante mai prodotto dalla natura:
basti dire che,
quando i primi cosmonauti sbarcarono sulla Luna, i loro scafandri
erano
imbottiti proprio con pelo di moskus. Più del freddo, i moskus
temono senz’altro
(riga 20) i lupi, che in America costituiscono i loro primi nemici
naturali, tenuti a bada
solo dalle robuste corna e dall’aggressività dei maschi capi-branco,
facili a
cariche micidiali.
Non è facile incontrare uno di questi scontrosi giganti: gli ultimi
branchi
autoctoni vivono in Groenlandia e nel Labrador; altri esemplari,
frutto di
(riga 25) ripopolamenti artificiali, si trovano in Siberia, in
Alaska e appunto in Norvegia,
dove la specie era estinta da tempo.
L’indomani Kjell mi passa a prendere con l’auto e cominciamo a
salire.
“Kjell, sicuro che lo vediamo?”. Lui fa cenno di sì, poi precisa:
“L’unico
problema sarà non avvicinarlo troppo: a meno di cento metri c’è
il pericolo che
(riga 30) carichi”.
Poco oltre il passo parcheggiamo l’auto e ci incamminiamo a sinistra:
saliamo
per un sentiero, tra radi grovigli di betulle. Mentre cammina,
Kjell mi dà qualche
notizia. Dice che un moskus vive circa vent’anni; che le femmine
partoriscono
solo un piccolo all’anno, sempre in aprile-maggio; che i combattimenti
fra
(riga 35) maschi si svolgono in agosto; che un branco comprende
di norma quattordici,
quindici esemplari.
“Però qui da noi – precisa – ci sono anche esemplari che vivono
isolati. Il
motivo è che qui non ci sono lupi. O meglio: ogni tanto ne arriva
qualcuno dalla
Svezia, ma raramente. Perciò i moskus non hanno bisogno di stare
in branco per
(riga 40) difendersi e possono allargarsi per avere più cibo a
disposizione. Se ci fossero
lupi, un moskus da solo, anche se forte, soccomberebbe. In gruppo,
invece, i
maschi si mettono in circolo, con le corna rivolte all’esterno,
e il branco diventa
una fortezza inattaccabile”.
Poi Kjell tace di colpo, annusa l’aria e indica una macchia di
betulle. “Il
(riga 45) moskus… là”. Guardo nella direzione indicata, ma non
c’è nulla: “Dove l’hai
visto?”. Risposta: “Non lo vedo, sento l’odore”. Annuso anch’io
l’aria: niente da
fare. Poi un cespuglio si muove e dietro i rami ecco una grande
massa scura, da
cui spuntano due corna. È proprio lui, il bue muschiato. Me lo
aspettavo nero,
invece è di uno strano colore mimetico, perché il suo pelo è tutto
impastato di
(riga 50) terra, rametti e foglie secche. Il colosso che ho di
fronte viene dall’alba dei
tempi, quando tutta l’Europa era un ghiacciaio ed è riuscito a
restare vivo e
identico per millenni. Lo guardo ammirato per una decina di minuti
mentre
pascola tranquillo.
Improvvisamente Kjell mi fa segno che è ora di levare il disturbo.
“Ci ha
(riga 55) visto, è nervoso…” mi dice. In effetti il moskus ha
smesso di brucare: ora ha
alzato il testone da terra e ci scruta con aria incarognita. Ci
allontaniamo
lentamente e lo perdiamo di vista. “Kjell – chiedo mentre scendiamo
a valle –
ma se qui non ci sono lupi, e quindi il moskus non ha nemici,
non temete che
prima o poi questo posto sarà pieno di buoi muschiati?”. Il guardaparco
mi
8riga 60) guarda: “In realtà un nemico c’è, anche se non è il
lupo: si chiama treno”. Infatti
sulla montagna passa una ferrovia che collega Oslo a Trondheim.
E il moskus
non la sopporta: così, soprattutto all’epoca degli amori, quando
passa il treno c’è
sempre qualche maschio nervoso che lo scambia per un rivale irriverente
e
quindi lo carica.
(riga 65) Risultato: se si arriva allo scontro diretto, a rimetterci
le corna non è mai il
treno. |
Tratto
e adattato da: Nino Gorio, Dall’Era glaciale, ecco il bue muschiato,
“Mondointasca.org” |
L'aspetto
del bue muschiato è simile a quello di
|