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PRIMA PARTE
Leggi questo testo e rispondi alle domande che lo seguono
.
Il conte
Attilio Fossadoro, di 74 anni, magistrato in pensione, signore
oltremodo corpulento, una notte si sentì male forse per avere
esagerato nel
mangiare e nel bere. L’emerito magistrato si abbandonò di schianto
sul letto,
supino, a bocca aperta, e non rispondeva più a nessuno.
(riga 5) Allora si pensò al peggio. La signora Eloisa telefonò
al medico curante dottor
Albrizzi.
A mezzanotte e mezzo il dottore arrivò. Fu deciso di ricorrere
al massimo
luminare, al vecchio clinico di celebrità internazionale. A ottantatre
anni suonati, il
professore Sergio Leprani era sempre il più autorevole; e di riflesso
il più caro.
(riga 10) Non era però una spesaccia che potesse spaventare i
Fossadoro.
L’illustre dottore giunse al palazzo verso le ore due, accompagnato,
anzi
sostenuto, dal primo dei suoi assistenti, il professore Giuseppe
Marasca.
Come il sommo entrò nella camera, il letargo del Fossadoro sembrava
essersi fatto
ancora più greve; e l’ansimare più stentato.
(riga 15) Sedette ai piedi del letto e lasciò fare al Marasca
e all’Albrizzi, i quali gli
comunicavano via via i dati: temperatura, cuore, pressione, riflessi,
eccetera.
Il Leprani ascoltava senza fare una piega. Dopo un consulto tra
i medici l’Albrizzi,
con le dovute cautele, comunicò il perentorio responso del grande
Leprani:
embolo cerebrale, prognosi infausta, nessuna speranza, al massimo
ancora una
(riga 20) settimana di vita.
Quale non fu la stupefazione dell’Albrizzi il mattino dopo quando
si ripresentò a
palazzo Fossadoro per avere notizie.
Ida, la governante, gli aprì la porta con un sorriso radioso:
«Tutto bene, dottore, tutto benone! L’avevo sospettato fin dal
primo momento, io,
(riga 25) ma potevo forse parlare alla presenza di quei professoroni?
Una solenne bevuta,
nient’altro.»
In quel momento comparve, gioviale, anche lui, il moribondo.
«Grazie, sa, caro Albrizzi, di tutto il disturbo che stanotte
si è preso per me. Mi
dispiace proprio... Lo so, lo so, non sono cose che si dovrebbero
fare alla mia età.»
(riga 30) Stupefazione. Ma anche scandalo. Come il Marasca, primo
assistente del Maestro,
seppe dall’Albrizzi la “resurrezione” del Fossadoro, andò su tutte
le furie:
«È assurdo! È inaudito! Il professor Leprani non sbaglia mai,
non può sbagliare!
E ormai lui lo ha già dato pubblicamente per cadavere, il Fossadoro.
Andrò io
stesso a parlare con la contessa.»
(riga 35) Il Marasca, intrepido arrampicatore universitario, parlò
chiaro a donna Eloisa:
«Qui sta succedendo una cosa gravissima, il professor Leprani
ha sentenziato un
esito mortale a breve termine e il paziente se ne va in giro per
la casa come se
niente fosse. Domeneddio, che disastro. Il prestigio di un clinico
sommo,
invidiatoci dall’estero, messo a repentaglio così! Non possiamo
permetterlo
(riga 40) assolutamente.»
«Mi dia lei un consiglio, professore.»
«Intanto, per prima cosa, persuadere il conte a mettersi a letto,
fargli capire che è
ammalato, gravemente ammalato.»
«Ma se lui si sente bene!»
(riga 45) «No, contessa, questa obiezione da lei non me l’aspettavo.
Voglia considerare, mi
permetta, anche il buon nome di casa Fossadoro... Se si venisse
a sapere la verità,
se l’ integerrimo magistrato, di illustre famiglia patrizia, diventasse
lo zimbello
della piazza... Un ubriacone senza freni!»
«Professore, non le permetto…»
(riga 50) «Scusi, contessa, ma non è più il caso di fare complimenti.
Il professor Leprani
deve essere salvato ad ogni costo. In fondo sarà una cosa semplice...
Somministrare, ad esempio, i cibi adatti... Il conte suo marito,
eh, eh, non si farà
pregare...»
«E la conclusione sarebbe?»
(riga 55) «Il professore Leprani non può essere smentito da chicchessia.
Ha detto una
settimana. Tiriamogli pure il collo, alla sua diagnosi. Vede che
in fondo anch’io
sono comprensivo. Ma entro quindici giorni, i funerali.»
A palazzo Fossadoro, dove il conte coi più ingegnosi pretesti
(il freddo, il vento, la
umidità, lo smog, un principio di raffreddore) veniva tenuto rinchiuso,
urgevano le
(riga 60) telefonate di circostanza. La diagnosi di Leprani aveva
già fatto il giro della città.
Telefonavano: le pompe funebri per la scelta della bara, la preparazione
della
salma e gli addobbi di rito; il medico comunale per il certificato
di morte; il
parroco, impaziente di somministrare l’estrema unzione; l’Istituto
degli orfanelli
per la rappresentanza ai funerali; il fioraio per le corone. E
lui, il conte, sempre
(riga 65) sano come un grillo.
Al quattordicesimo giorno il professor Leprani cominciò a dar
segni di agitazione.
«Il terribile vecchio — domandava — ancora non si è deciso?»
Col sangue agli occhi, nel pomeriggio, il professor Marasca si
presentò al palazzo
Fossadoro accompagnato da due giovani assistenti travestiti da
cuochi; e prese
(riga 70) possesso della cucina. Alla sera, grande pranzo familiare
per l’onomastico di una
nipotina. Tra gli invitati, anche l’implacabile Marasca.
Lavoro, per la verità, eseguito a regola d’arte. Emozione e disturbo
ridotti al
minimo. Come, al dessert, inghiottì il primo boccone di torta,
il conte Attilio
Fossadoro restò stecchito, con ancora sulle labbra il beato sorriso
di poco prima.
(riga 75) Subito il Marasca telefonò al luminare: «Ancora una
volta congratulazioni,
Maestro. Or ora il conte ha cessato di vivere.»
(Tratto e adattato da: D. Buzzati, Le notti difficili, A.
Mondadori, Milano, 1971) |
Che cosa
significa "oltremodo corpulento" (riga 2) ?
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