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Uno di questi
ragazzi lo chiamavano Loli e abitava in una cadente baracca del
tempo
della guerra, assieme alla sua famiglia composta di dodici persone,
con un piccolo
podere di tre ettari in affitto. Per fortuna una sua sorella si
era sposata, un’altra era
andata a servizio in città, tre suoi fratelli maggiori erano andati
a lavorare in altra regione
(riga 5) e due addirittura in Francia. Il padrone del terreno
non aveva voluto costruire
per loro una casa e allora avevano comperato quella baracca di
guerra che avevano
trasportato nel podere liberandosi dal peso dell’affitto per l’abitazione
in un’altra
casa di contadini. Da principio sembrava un’occasione bellissima,
ma poi si accorsero
che quella casetta di tavole era calda d’estate e fredda d’inverno.
(riga 10) Durante un inverno terribile la madre di Loli si ammalò
tanto gravemente che credevano
dovesse morire. Con il tempo la baracca cominciò a scricchiolare,
i topi circolavano
sotto al pavimento, il tetto si incurvò e le pareti si sbandarono.
Vittorio, il
padre di Loli, tentò di rafforzarla, la puntellò, rigovernò il
tetto, sostituì alcune tavole,
ma il caldo di luglio e la tramontana di gennaio lavoravano ugualmente
a macerarla.
(riga 15) A tavola nella bassa cucina o nella stalla, dove si
radunavano nelle sere d’inverno, si
proponevano sempre di ricordare al fattore del padre che era suo
obbligo di dare
in affitto con la terra anche la casa, ma erano certi avrebbe
risposto che essi stessi
avevano voluto abitare quella baracca.
La tramontana fischiava ammonitrice di altri mali, tutti si tacevano
avviliti senza trovare
(riga 20) una soluzione. Loli allora prendeva la sua piccola armonica
da bocca e si metteva
a suonare con l’estreo di confortarli. Ma egli non dormiva alla
notte e se dormiva
sognava una casa nuova fatta di mattoni come l’avevano tanti altri
contadini. Egli,
il più piccolo di tutti, a cui suo padre non voleva ancora dare
l’aratro da reggere sui
solchi, aveva deciso di costruire la casa per sua madre, per suo
padre e per i suoi
(riga 25) fratelli.
Quando andava con suo padre al mercato del villaggio aveva visto
ragazzi come lui
portare a vendere conigli o colombi. Uomini forti e spavaldi andavano
a loro incontro,
afferravano quegli animali, li soppesavano, li tastavano, contrattavano
e poi davano
loro denari, portandosi via gli animali. Mentre suo padre parlava
con i mercanti
(riga 30) egli parlava con quei ragazzi e aveva saputo che per
allevarli occorreva poca spesa e
ogni mese davano i piccini. Loli aveva messo sempre da parte i
pochi soldi che suo
padre gli dava ogni domenica e cominciò a comperare una coppia
di colombi e una
di conigli. Mise sul tetto una colombaia e passati alcuni mesi
andò anch’egli come
gli altri ragazzi a vendere i frutti. Suo padre lo aveva lasciato
fare come fosse un gioco,
(riga 35) ma un giorno di autunno che al mercato vi erano le pecore
appena discese dalla
montagna e le guardava incuriosito, si sentì dire da Loli che
ne voleva comperare
una, perché aveva il denaro sufficiente. Suo pare non credeva
e volle vedere, allora
lo prese per le spalle e scuotendolo lo minacciò di confessare
dove lo aveva rubato.
Loli impavido e fiero gli spiegò che lo aveva guadagnato con il
suo commercio. Una
(riga 40) pecora venne comperata, era gravida e folta di lana
che venne tagliata per fare una
maglia a sua madre e un paio di calze per lui. A Pasqua la pecora
fece l’agnello e con
il guadagno della vendita aggiunto a quello di altri colombi e
di altri coniglio comperò
una vitella appena slattata.
Il piccolo Loli era diventato padrone di una vitella. In famiglia
tutti se lo disputavano
(riga 45) per le carezze, ma egli non aveva rivelato ancora dove
voleva arrivare. Da sveglio e
nei sogni gioiva per essere già a metà della sua strada. Già sentiva
che la spesa per le
fondamenta era assicurata, ancora qualche anno e sarebbe arrivato
al tetto. Quando
sorgeva la luna, facendo risaltare il groviglio delle siepi attorno
al piccolo podere,
si sentiva diffondersi il suono saltellante della sua armonica
ed egli a quel suono
(riga 50) vedeva elevarsi la casa di mattoni al posto della vecchia
baracca che minacciava di
diventare la tomba di sua madre. La vitella era diventata manza
e appena fu pronta
per partorire venne venduta. Loli non volle intascare il danaro
e disse a suo padre di
comperare subito due altre vitelle. Egli sapeva che il tempo era
necessario come la
calce per i mattoni e non bisognava sciuparlo. Ingrandirono la
stalla, la baracca non
(riga 55) reggeva più. Vittorio aveva aggiunto altri puntelli,
la pioggia entrava dal soffitto, il
granone raccolto si guastava e Loli disperava di vedere realizzato
il suo sogno.
Durante l’inverno egli si ammalò, la pena fu immensa per tutti,
accaldato dalla febbre
chiedeva spasimante notizie delle bestie che erano entrambe prossime
a partorire.
Alla sua voce esse rispondevano mugghiando dalla stalla. Di notte
svegliava suo
(riga 60) padre perché portasse a loro da mangiare, non aveva
pace e la febbre gli cresceva
nell’ansia. Una sera, una era inquieta. Vittorio pensò fosse prossima
al parto e vegliò
con gli altri. Loli dal suo letto chiamava a ogni istante. Ma
a un certo momento né
suo padre, né i suoi fratelli ebbero tempo di rispondergli. Solo
quando ebbero finito
andarono pazzi di gioia a gridargli che la prima manza aveva partorito
due vitelli. La
(riga 65) settimana dopo partorì anche l’altra.
Da una coppia di colombi e da un’altra di conigli ora possedeva
una stalla con cinque
animali, che in tanti anni di lavoro neanche suo padre era riuscito
a possedere. Allora
Loli che ormai era arrivato al tetto della casa. Se i suoi fratelli
somigliavano al padre nella
quadratura delle spalle e alla madre, che era stata una bella
donna, nella sorridente
(riga 70) avidità dello sguardo, Loli, ultimo nato, snello e fremente,
somigliava più di tutti a sua
madre, come se il corpo di lei avesse voluto dargli l’impronta
di sé, prima di esaurirsi
nei parti e nella malattia che le aveva reso lieve la voce su
dal petto incavato. Ella
sentendo che il suo Loli aveva raccolto il denaro per fare la
casa nuova gli disse stringendolo
che era il loro vero padrone. Prima dell’inverno tutti si erano
messi al lavoro,
(riga 75) avevano comperato un ritaglio di terra incolta vicino
al podere e vi costruirono la casa. |
.G.
Comisso, La mia casa di campagna, Longanesi |
La famiglia
di Loli era composta da dodici persone .
Quanti erano i fratelli maggiori che non vivevano in famiglia ?
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