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Trieste era
famosa per i suoi caffè cittadini come per le sue osterie
di campagna. I caffè, che venivano da Vienna, furono, piano piano,
sopraffatti dai bar, cioè dall'America. I pochi che ancora rimangono
hanno l'aria di vecchi signori ottocenteschi in un mondo ogni
giorno, per
(riga 5) essi, più incomprensivo. Le osterie invece sono, in gran
parte, quelle di
sempre. Il colpo di pistola fu, una di queste sere, sparato in
una di queste
osterie suburbane.
Si affacciò al locale un giovane soldato americano. Gli avventori,
molto numerosi, discutevano di alta politica. Dopo di avere, per
un
(riga 10) attimo, sostato sulla soglia, il soldato entrò nell'osteria,
si guardò
attorno, cavò di tasca una pistola, sparò un colpo in aria… Povero!
Lontano dalla patria, in una città e in un ambiente a lui stranieri,
doveva
pure, in qualche modo, affermare la propria esistenza; dire: a
questo
mondo ci sono anch'io!
(riga 15) Il giovane soldato (che forse non era quella sera alla
sua prima
sosta a uno spaccio di bevande alcoliche) parve rendersi subito
conto di
aver commesso un errore di tatto. Ma, come annullarlo non poteva,
rimase bravamente ad attendere la reazione. "Se qualcuno" sembrava
dire "ha qualcosa in contrario, si faccia avanti." Nessuno aveva
nulla in
(riga 20) contrario (o non mostrò), e nessuno si fece avanti.
Scoppiarono invece
applausi, grida di bravo, bene, bis, accompagnati da risa e battimani.
Sconcertato dalle inaspettate accoglienze, che parevano quasi
incoraggiarlo a proseguire, il soldato si oscurò in volto, rimise
l'arma in
tasca, uscì confuso dall'osteria, senza dire altra parola.
(riga 25) I miei pensieri, indietreggiando nel tempo, mi richiamarono
alla
memoria, per analogia, un episodio della vita del cane Occo.
Il cane Occo era un fervente nemico dei gatti, che per lui
rappresentavano, sulla faccia della terra, il male assoluto. Venti
o
trent'anni fa, quest'inimicizia era, per via, un divertimento
quotidiano.
(riga 30) Oggi, o per l'accresciuta pericolosità del traffico,
che obbliga di
condurre i cani al guinzaglio, o perché gli uomini che la tenevano
viva
hanno trovato, per sfogarsi, vie più dirette, lo spettacolo è
diventato raro.
Ma allora il cane Occo non sapeva vedere un gatto senza avventarglisi
contro. La povera bestia era tanto stupida da non capire che,
impedita
(riga 35) dalla museruola, poteva solo buscarle, in nessun caso
darle. Per sua
fortuna i gatti erano altrettanto stupidi, e, appena si vedevano
arrivare
addosso quella furia, si arrampicavano su per un albero, o correvano
a
nascondersi in qualche interno. Ci fu però una volta - una sola
- un gatto
straordinario, un gatto da libro delle favole, che né fuggì, né
si dispose
(riga 40) ad affrontare il suo terribile nemico. Seduto tranquillo
sulla porta di una
bottega di generi alimentari, accolse la provocazione come, circa,
gli
avventori dell'osteria suburbana accolsero il colpo di pistola.
Non inarcò
la schiena, non gonfiò la coda, non gli soffiò contro. Lo guardava
(non
sapremo come dire altrimenti) con una specie di ineffabile sorriso.
Il
(riga 45) cane Occo - al quale non era mai accaduta, né mai più
doveva accadere
una cosa simile - si comportò, a sua volta, come il giovane soldato
del
Far West. Anzi meglio, perché, invece di "uscire confuso dal locale",
rese, scodinzolando, feste e carezze. Avevamo sotto gli occhi
la
dimostrazione vivente di quanto possa essere vera una sentenza
del
(riga 50) remoto Budda. "Non" diceva l'Illuminato "per l'inimicizia
finisce
l'inimicizia; per l'amicizia finisce l'inimicizia".
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Riduzione da: U. Saba, Tutte le prose, Milano, Mondadori,
2001, pp. 996-998
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Alla riga
6, l'espressione verbale fu sparato è al…
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