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Se avete
la fortuna di possedere una di quelle vecchie enciclopedie degli
animali dei primi anni del
secolo, o addirittura della fine del secolo passato, andate a
leggere le pagine sui canidi. Accanto alla
descrizione del lupo, della volpe, dello sciacallo e di tutti
i canidi selvatici, troverete anche la
descrizione dei "cani di Costantinopoli" e dei "cani di Alessandria
d'Egitto". Gli zoologi del tempo,
infatti, descrivevano i cani randagi di quelle città come vere
e proprie sottospecie con caratteristiche
particolari e ben distinguibili.
Ancora oggi la situazione non è poi molto diversa. Nelle città
e negli ambienti mediterranei i cani
randagi sono molto comuni così come sono una costante del panorama
di molti Paesi temperati e
tropicali. Un misto di cause ne provocano la persistenza: da una
parte, l'ecologia umana dei Paesi a
clima temperato-caldo permette agli uomini una vita per molti
mesi condotta all'aperto, con una
continuità ambientale tra interni ed esterni delle abitazioni.
Dall'altra, l'abbondanza di risorse naturali e
di rifiuti offre una elevata disponibilità alimentare durante
tutto l'anno.
In Inghilterra non esiste un solo randagio pur avendo gli inglesi
una popolazione di quasi 6 milioni di
cani, tutti rigorosamente tenuti sotto controllo. In Italia, invece,
su circa 33,5 milioni di cani, almeno
7-800.000 sono da considerarsi vaganti. Come a rappresentare da
sola la diversità tra climi freddi e
caldi, in Italia la presenza di questi animali è scarsa al Nord
e cresce progressivamente al Centro e al
Sud del Paese.
La parola "vaganti" ha bisogno di spiegazioni e distinzioni, poiché
sotto questa etichetta si
raggruppano in realtà cani che hanno relazioni diversificate con
l'uomo e l'ambiente, e che costituiscono
quindi ordini di problemi molto diversi tra loro. È opportuno
distinguere almeno quattro diverse
categorie: i cani che hanno un padrone che li tiene sempre sotto
controllo, quelli che pur avendo un
padrone sono spesso liberi di andarsene in giro come e quando
vogliono, i randagi e i rinselvatichiti.
I cani che sono tenuti sempre sotto controllo non hanno alcun
effetto sull'ambiente naturale se non
quando riescono a scappare.
Poi ci sono i cani che hanno un padrone, ma che sono lasciati
liberi di andare dove meglio credono.
Sono tanti e sono i più pericolosi. È il modo forse più comune
in cui si tengono i cani nell'Italia
centrale e meridionale, sia sui monti dell'Appennino sia lungo
la costa. Il padrone esiste, vive nel
paese, ma non si preoccupa di sapere dove è il suo cane; spesso
lo nutre, ma molto spesso si aspetta
che il cane trovi da sé qualcosa da mangiare. Questi individui
hanno una vita relativamente facile,
semi-protetti ma liberi anche di andare dietro ogni occasione
attraente.
I randagi sono cani che, nel loro passato recente o remoto, hanno
avuto un padrone, e che
continuano
a cercarne un altro. Abbandonati o dispersi sono legati alla figura
dell'uomo capobranco o partner
sociale e lo ricercano in continuazione sia per convenienza (cibo
e protezione) sia per necessità
sociale. Si mescolano facilmente alle bande di cani padronali
liberi, si incrociano con loro, vivono
dentro i paesi e hanno una ecologia simile a quella degli animali
che hanno il padrone, ma vivono
senza controllo.
I cani rinselvatichiti hanno invece reciso ogni legame con l'uomo
e non lo ricercano più, anzi lo
rifuggono.
In uno studio effettuato in Abruzzo per oltre quattro anni, abbiamo
trovato che su oltre 40
cuccioli nati da varie femmine di un gruppo, solo uno ha raggiunto
l'età della riproduzione e
gli altri sono tutti morti entro i primi mesi di vita.
Ma se i cuccioli muoiono, come fanno i rinselvatichiti a mantenere
le loro popolazioni libere? Con un
procedimento di continua cooptazione di nuovi individui dalle
popolazioni di cani randagi e vaganti
che vivono nei paesi limitrofi, soprattutto durante il periodo
riproduttivo. In un branco di lupi in
genere solo una femmina si riproduce. Ma nei cani non esiste questo
meccanismo e si verificano così
molte occasioni di formazione di nuove coppie. In mancanza di
partner maschili nel branco, si coopta
qualche altro cane dal paese più vicino.
I risultati della nostra ricerca in Abruzzo hanno indicato in
maniera inequivocabile la via da seguire
per ridurre le popolazioni di questi cani. Infatti, sarebbe sufficiente
controllare a fondo il fenomeno dei
cani vaganti di paese, sia quelli con padrone e liberi sia quelli
randagi, per vedere lentamente
affievolirsi il numero dei rinselvatichiti fino alla loro scomparsa.
Ma perché bisogna controllare il fenomeno dei cani vaganti siano
essi randagi o rinselvatichiti?
Per molte buone ragioni, da quelle sanitarie a quelle ecologiche.
Non ultime ci sono ragioni
economiche, poiché i cani sono la causa di tanti danni al bestiame
domestico, danni che poi vengono
imputati al lupo.
Su questo aspetto, che era uno dei nostri obiettivi nella ricerca
condotta in Abruzzo, posso confermare
che in quattro anni non abbiamo trovato un solo caso di predazione
dei rinselvatichiti su animali
domestici. Ma nello stesso periodo, abbiamo raccolto invece molta
documentazione su cani randagi e
padronali che hanno causato danni ingenti al bestiame.
Il problema è quindi complesso. Qualcuno vuole lo sterminio dei
rinselvatichiti perché causano danni
e competono con il lupo per spazio, cibo e incroci che producono
scomodi ibridi. Altri invece se ne
fanno paladini ritenendo questi cani gli ultimi veri predatori
d'Italia oppure sostenendo che ormai tutti
i lupi sono degli ibridi e quindi non possono essere protetti
in purezza genetica. Un intervento
cautelativo sarebbe quello di limitare comunque il numero di cani
vaganti, prodotto artificiale fatto
dall'uomo a suo uso e consumo e non adatto alla vita selvatica.
Controllare randagi e rinselvatichiti, d'altronde, non è affatto
facile: gli accalappiacani sono ormai
quasi scomparsi e altrettanto rari sono i canili e i ricoveri.
Finché eravamo in guerra con la rabbia urbana (i più anziani ricorderanno
sui muri di scuola i
manifesti sulla idrofobia!), il sistema di accalappiacani, di
multe ai trasgressori, di catture e
abbattimenti funzionava bene.
Oggi i cani senza padrone non vengono più considerati un problema
da risolvere e il sistema di
controllo è caduto largamente in disuso. Così randagi e rinselvatichiti
continuano indisturbati a
moltiplicarsi, tanto è vero che in molte aree del Centro-Nord
le loro popolazioni rappresentano
già un'emergenza seria . |
Gli zoologi
del passato descrivevano alcune sottospecie di cani con i nomi delle
città perchè
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