A1
Secondo me
avevo quattr’anni. Non andavo ancora a scuola, sicuramente no.
Fu
detto che c’era questa possibilità, ma quello che ricordo bene
è come la notizia mi
arrivò: da sola, senza che fosse chiamata.
La notizia che qualcuno aveva una biciclettina adatta a me e che
me la poteva
(riga 5) dare, bastava aggiustarla. E infatti la vidi, era una
meraviglia, ma per un guasto
meccanico non riuscivo a pedalarci. Potevo montarci senza pedalare.
Era rossa, tinta a mano. Piccolina, col sellino nero. Il telaio
rosso e il manubrio
color alluminio per farla sembrare un po’ nuova. Chissà di chi
era e le mani che
aveva passato.
(riga 10) La meraviglia era avere un oggetto neanche pensabile.
Nessuno poteva sperare
di avere una bicicletta a quell’età, tra bimbi contadini come
noi. Non era una cosa
desiderata perché non arrivava neppure a essere immaginata, nacque
solo nel
momento che me lo dissero, dal niente al tutto.
Non so se si può capire una condizione di pulizia dal desiderio,
oggi si nasce con
(riga 15) le voglie già nelle tasche, di cose che si avranno,
o prima o poi. È conoscere soltanto
i confini della propria corte, oltre che della casa attaccata
alla stalla. Le persone
dovevano occuparsi di portare avanti quello che gli era stato
affidato, la terra, la
casa, gli animali. I discorsi con le altre famiglie erano su queste
cose, tutt’al più
ricorrevano le storie del tempo del fascio, o della guerra passata
da una decina
(riga 20) d’anni, e dieci anni sono ancora pochi perché sia passata
davvero.
Senza comprare, il mondo finisce lì.
In casa non c’era un oggetto in più che non fosse necessario,
nessuno portava a
casa qualcosa: quello che c’era c’era e tutto quello che c’era
serviva, bastava saperlo
usare. Semplicemente, l’inutile non esisteva, e così non se ne
sentiva il bisogno.
(riga 25) La bicicletta. Forse in casa mia ce n’era una, era da
donna, mia madre se la
portava dietro sin da ragazza.
Nessuna famiglia di contadini ne aveva due o tre. La bicicletta
serviva per
andare dal dottore, per andare in Comune o a trovare un parente
malato.
E allora, una biciclettina per un bimbo di quattr’anni era proprio
impensabile: la
(riga 30) nascita senza semi di un desiderio. Siccome bisognava
cambiarle un pezzo, fu
portata dal meccanico delle biciclette che si trovava sulla strada,
mentre la nostra
corte era nell’interno.
Questo meccanico si chiamava Dante. Fu chiesto a Dante di accomodarla
e date
le condizioni di casa, la richiesta non fu fatta come si fa per
le cose serie. Gli fu data
(riga 35) così, dicendo:
“Guarda, quando puoi, se gliel’accomodi. È sua, quando puoi…”.
Non ci doveva essere da pagare.
Certo, a Dante saranno arrivate da casa mia richieste più importanti,
come per
esempio aggiustare la carrozzina di Lino. I conti si potevano
pagare anche con le
(riga 40) uova o con un coniglio.
Insomma, per queste storie la biciclettina fu appesa in alto.
La stanza dove Dante lavorava aveva pareti nere, scure, e lei
era stata messa
fuori portata, lontana da tutte le biciclette che prima o poi
sarebbero state sistemate.
Per andare alla bottega, si doveva passare di fronte all’officina,
e siccome anche
(riga 45) mia madre sperava di trovarla pronta, mi portava con
sé per mano, e quando s’era lì
chiedeva a Dante se per caso l’aveva fatta.
Ma lei era sempre lassù, sempre fuori portata. Di certo mia madre
glielo avrà
anche ripetuto:
“Via, giù, guarda un po’ se gliela sistemi…”.
(riga 50) A ogni promessa ci si attaccava il desiderio, il desiderio
sospirato di staccarla e
portarla in corte, e farmi vedere da tutti.
Questo non fu possibile: lei rimase lassù, io rimasi con tutta
la mia voglia, e
Dante con le sue promesse. |
da:
E. Cei, Ai piedi dei miei anni, Lucca, 2004 |
Perchè
la notizia dell'arrivo della bicicletta è così importante per il bambino
(righe 1-13) ?
Perchè ...
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