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Televisione,
l'invasione degli ultra-reality |
(riga 1)
Fra la dimensione della realtà e il codice del reality c’è di
mezzo soltanto il diaframma
sottilissimo dello schermo televisivo. Cioè una barriera che una
volta sembrava
impermeabile, e adesso invece è la premessa di un’apertura, un’occasione
di osmosi:
e anche i telespettatori meno smaliziati infatti possiedono l’intuito
sufficiente per
(riga 5) capire che non c’è troppa differenza tra il format irresistibile
della separazione in
diretta, con L’isola dei famosi come medium, fra Al Bano e Loredana
Lecciso e il bacio
affettuoso offerto da Katia Ricciarelli dopo l’intervista a Pippo
Baudo durante l’ultima
Domenica In, che ha concluso mediaticamente un iter sentimentale
e legale piuttosto
tormentato.
(riga 10) Il reality è più vero del vero, è una realtà procurata,
incentivata dalla sceneggiatura
implicita dello show: tutti si aspettano che la Lecciso dica addio,
me ne vado per
seguire la mia vocazione, e che Al Bano, sintesi spettacolare
del signor Carrisi, produca
il suo coming out di uomo deluso ma indomito, di familista morale
che grida il
proprio dolore. Ma nello stesso tempo anche lo spettatore più
ingenuo sa, o spera, o
(riga 15) semplicemente immagina che il noto presentatore Pippo
e la famosa ex cantante
Katia approfitteranno del programma domenicale per siglare un
armistizio e farlo
conoscere alla platea televisiva.
Probabilmente la realtà non esiste più: esiste semmai una sovra-realtà
in cui i
comportamenti sono iscritti e rispettano un copione possibile,
«aperto» ma prevedi-
(riga 20) bile. […]
Con il passare del tempo, e con l’abitudine progressivamente acquisita
alla logica
del reality, anche i meno scafati si sono resi conto che questi
show sono performance
in cui tutto è già scritto, in quanto ciò che ci si aspetta deve
accadere e quindi
accadrà: dalla lite fra comari ai giochi sessuali, dalle piccole
crudeltà del quotidia-
(riga 25) no alle microsolidarietà fra perdenti, alle concessioni
degli esemplari alfa verso i gre-
gari.
Il reality non è più nemmeno l’universo costruito a freddo del
Truman Show, il
film profetico ed esorcistico di Peter Weir in cui il protagonista-vittima
Jim Carrey è
circondato da un mondo artificiale, popolato da attori e comparse,
e a sua insaputa
(riga 30) la sua vita costituisce l’iperspettacolo televisivo
in sé, milioni di telespettatori che
contemplano il dramma inconsapevole di una sola persona, collocata
dentro un
mondo eventuale, chiuso in se stesso e isolato sperimentalmente
per anni dalla
società normale.
Per come si sono rapidamente evoluti, e non soltanto in Italia,
dato che i format
(riga 35) sono mappe universali, i reality show di maggiore successo
sono diventati interattivi,
e non soltanto perché le comunità di spettatori più affezionati
dialogano con gli
autori e fra loro via sms o e-mail. L’interattività è più diffusa
e significativa, dal
momento che la televisione non è affatto un mondo a parte quanto
piuttosto uno
specchio: da cui escono messaggi che si diffondono nelle fasce
sociali di riferimento,
(riga 40) e ritornano nello show per essere intensificati a dismisura,
codificati come norma o
normalità, e resi a loro volta pubblici e disponibili nella vita
di tutti i giorni.
Questa è la ragione per cui i gesti più o meno eccentrici dei
«famosi» sull’Isola o
degli anonimi reclusi nella casa del Grande Fratello sono pronti
per diventare tratti
generali di uno stile comune, o almeno standard a cui rifarsi
nel quotidiano. Divismi,
(riga 45) piercing, uso del corpo, protagonismi attoriali, tattiche
nel faccia a faccia entrano
immediatamente nel repertorio degli spettatori. Gli eterni ragazzi
della società italiana,
quella generazione fra i 15 e i 34 anni delle statistiche demoscopiche,
i giovani
per coazione sociale, possono rifarsi alle tecniche comportamentali
dei dieci piccoli
indiani segregati nella Casa; gli adulti che costituiscono il
pubblico televisivo
(riga 50) stratificato dell’Auditel (casalinghe, fasce a bassa
scolarizzazione, soggetti esposti
massicciamente alla programmazione tv) trovano invece nell’Isola
dei famosi con-
ferme continue di quale sia la maniera accettata dello stare insieme
e in pubblico, di
quali parole possono essere pronunciate, delle educazioni sentimentali
a cui ci si
debba riferire.
(riga 55) […] La norma del reality investe tutta la programmazione
televisiva: anche il calcio,
che sotto la regia dell’ex nazionale (campione del mondo 1982)
Ciccio Graziani
diventa il tentativo di una success story di provincia; o un qualsiasi
programma festivo
come Buona domenica, dove sotto gli occhi di Maurizio Costanzo
uno spettatore
qualsiasi, vestito come uno dei Famosi, acconciato «cafonal» secondo
gli stilemi di
(riga 60) Roberto D’Agostino, balla da solo agitandosi fino a
farsi notare e a venire invitato a
prodursi in qualche passo di danza per l’appunto con la Lecciso.
Se non c’è più confine fra generi, nessuna barriera fra realtà
e intrattenimento,
e di fatto tra spettacolo e spettatori, risulterà sempre più difficile
resistere all’asserzione
estremistica che tutta la televisione cosiddetta generalista è
solo ed esclusivamente
(riga 65) intrattenimento. Sicché, una volta accertata l’assoluta,
esatta sovrapponibilità
del pubblico di RockPolitik con quello dell’Isola dei famosi,
diventerà sempre meno
incongrua la consegna di tutta la tv all’infotainment. |
Edmondo
Berselli, Televisione, l’invasione degli ultra-reality, «La
Repubblica», 15/ 11/ 2005 |
Nel contesto
dell'articolo , qual è il significato di «osmosi»
(riga 3) ?
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